La vita quotidiana nella Roma pontificia ai tempi dei Borgia by Jacques Heers

La vita quotidiana nella Roma pontificia ai tempi dei Borgia by Jacques Heers

autore:Jacques Heers [Heers, Jacques]
La lingua: ita
Format: epub
editore: BUR Rizzoli
pubblicato: 2017-08-14T22:00:00+00:00


Contro i nobili...

Roma, città delle sciagure e delle catastrofi... fragile città esposta alla furia degli elementi, a quella dagli uomini in preda a sentimenti di odio selvaggio, a criminali follie...

Quando la terra manda boati e trema, facendo crollare tutta una parte della città, quando, durante le piogge torrenziali, vengono inondati interi quartieri e le acque scure del fiume si gonfiano, allora il popolo si affolla nella chiese a pregare, implora a gran voce che la furia si plachi, e spesso va in processione per le strade dietro le reliquie e gli stendardi delle pie società. I nemici del papa, i censori, gli spiriti devoti e inclini alla riprovazione, alle prediche, alle critiche hanno allora buon gioco parlando della punizione divina e denunciando ancora una volta, di fronte a immense folle, quanto mai attente, gli abusi e le turpitudini della corte.

Il Tevere, furioso, devastatore, a quest’epoca non è ancora interamente sotto controllo. È il nemico, e i buoni Romani, borghesi, notai, autori dilettanti di cronache e di diari intimi, punteggiano i loro scritti con i racconti delle inondazioni, carichi di raccapriccio. Nel 1471, subito dopo l’elezione di Sisto IV, in piena estate, il 20 agosto, il fiume straripa dal suo letto, travolge le case dei quartieri bassi e sommerge i depositi di cereali; trasporta cadaveri sotto un cielo d’inchiostro. La stessa cosa avviene nel dicembre 1475; i pellegrini devono andare in barca a visitare le chiese isolate; le strade erano interrotte e così poco sicure che il papa dovette accordare a coloro che sarebbero andati a pregare nelle chiese di Bologna o persino in quelle della loro stessa città le medesime indulgenze concesse nei diversi santuari romani. L’anno seguente la carestia minaccia la città.

Cinque anni dopo, nel 1480 e in inverno, nuove inondazioni, altrettanto devastatrici; poi ancora nel 1495, sotto Alessandro VI, la peggior furia che si ricordi, così improvvisa che i cardinali, uscendo dal concistoro, ebbero appena il tempo di correre ai loro palazzi, i prigionieri nella Torre di Nona finirono tutti annegati, i cavalli vennero travolti nelle strade; gli abitanti riuscirono a salvare qualche mobile dalle loro case invase dalle acque, rovinate...

Questi straripamenti prendono sempre alla sprovvista: non si possono adottare rimedi, né precauzioni. Sono visioni da fine del mondo, apocalittiche: si crede che il sole sia scomparso, si inventano eclissi. Gli uomini vi scorgono i soprassalti di una bestia furiosa ed effettivamente i più saggi, gli ambasciatori di Venezia, ad esempio, riportano strani discorsi. Il Tevere, nel corso degli anni, foggia la sua leggenda. Nelle grotte presso le rive, si dice, si nascondono dei mostri; le acque li cacciano dai loro anfratti; sono serpenti e dragoni spaventosi: «Questo mostro era tutto verde, con una testa d’asino e un corpo di donna, il braccio destro si sollevava nell’aria come la proboscide di un elefante; sul suo sedere si vedeva la faccia orrenda di un vecchio barbuto e la sua coda era quella di un grosso serpente».5

Del resto, i Romani vivono quotidianamente in stato di ansia, nella paura dei colpi



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